Marco T. - Prato
KERA, L'AQUILA
Vuoi che ti racconti ancora la storia di tuo nonno? Va bene, ma se mi prometti di addormentarti. Promesso? Allora, tuo nonno era un uomo bellissimo, sembrava un principe, dai lunghi capelli neri e dal portamento severo. Lavorò tutta la vita e quando andò in pensione poté finalmente dedicarsi completamente alla Natura. L'amava e le portava il massimo rispetto, lo stesso che aveva per tua nonna. Tagliava il prato, potava le piante e le nutriva ogni giorno, carezzava i suoi fiori trattandoli come fossero i suoi figli. Ma amava soprattutto la montagna, adorava i silenzi delle camminate lungo isentieri che sembravano portare al cielo.
Per quanto fossero ripidi, lui non sentiva fatica, li percorreva leggero come uno di quei cerbiatti che osservava lungo i crinali che terminavano in ghiacciai eterni. Col passare del tempo, anziché fermarsi aumentò la frequenza delle sue camminate arrivando sempre più in alto almeno fino a dove, per salire, non era necessario ferire il terreno col piccone. Durante queste salite un giorno notò della presenza di un'aquila dalla prodigiosa apertura alare. Un'aquila reale, di nome e di fatto. Rimase colpito dall'aspetto così nobile di quell'uccello, che girava a cento metri sopra la sua testa.
Tuo nonno si accorse che l'aquila lo guardava. Le rispose con un altro sguardo, il suo. Spesso non è possibile capire la Natura, come quel giorno in cui tuo nonno divenne amico di quel grande uccello. Le camminate divennero giornaliere ed ogni giorno i due si incontravano a metà strada tra la valle e la cima che si trovava a circa 2000 metri d'altezza. Si scambiavano sguardi alteri, sembravano comunicare tra loro con gli occhi, fin quando Kera, così l'aveva chiamata tuo nonno, non decideva di tornarsene al suo nido. Tuo nonno la vedeva volar via veloce come un lampo e doveva ogni volta rinunciare al desiderio di capire dove si riparasse la notte.
Poi, un giorno di primavera, non la vide arrivare. Neppure il giorno dopo e neanche il successivo. Tuo nonno si preoccupò, chiedendosi cosa potesse essere accaduto. Era come se lui fosse certo che, se non ci fosse stato un problema, lei sarebbe venuta all'appuntamento. Si chiese cosa poteva fare. L'unica era andare a cercarla al suo nido. La mattina dopo si caricò lo zaino in spalla con molti attrezzi e viveri in più del solito e partì alla sua ricerca. Ma il primo giorno fu infruttuoso e quando tornò era così stravolto che ci preoccupammo tutti per la sua salute. Lui ci guardò e senza che avesse fatto una parola, capimmo che non era il caso di giudicare il suo comportamento.
La mattina dopo ripartì. Era una giornata di primavera, bellissima, perfetta per il suo scopo. Camminò per ore, superò ostacoli difficili e quando vide il nido si sentì come rinascere. La casa dell'aquila era in un luogo di difficile accesso, sotto uno spuntone roccioso e sull'orlo di un dirupo di oltre centocinquanta metri. Si avvicinò con cautela ed arrivato a pochi metri, si rese conto di una situazione disperata: l'aquila giaceva a terra e vicino a lui c'era un piccolo aquilotto. Tuo nonno si fece coraggio e con movimenti lentissimi arrivò a pochi centimetri da lei.
La vide sofferente ma così vicina era davvero maestosa. Cercò di capire cosa le fosse accaduto e da medico qual era stato lui, anche se non veterinario, avrebbe avuto una rapida risposta. Sembrava debolissima. Non trovava nel corpo tracce di violenza o di fattori accidentali. Non riusciva a capire. Poi il becco! La parte superiore del becco uncinato gli era cresciuto verso il basso in maniera anomala e non riusciva più ad aprirlo. Non poteva mangiare. Stava morendo di fame. Guardò il piccolo aquilotto e gli sorrise, poi prese sua madre e la caricò su di se. Era pesantissima e fu una fatica disumana portarla a casa.
Un bravissimo chirurgo come lui non si poteva fermare davanti ad un ostacolo come questo. Chiamò Roberto, un suo allievo ora primario di Chirurgia. "Mi devi fare un favore personale" - gli raccontò ciò che stava accadendo e che aveva bisogno del suo aiuto. Portarono Kera nell'ambulatorio di Roberto e con grande perizia riuscirono a operarla in modo che potesse riaprire il becco. Passarono alcuni giorni, durante i quali la curarono e la nutrirono. Poi poterono ridarle libertà. Kera volò alto, guardando i due fieramente, e sembrò ringraziarli.
Tuo nonno continuò nelle camminate, andava sempre più in alto, sembrava volersi congiungere alle nuvole. Proprio come faceva Kera. Ma la montagna è anche molto pericolosa, nasconde difficoltà impreviste. Un pomeriggio il terreno cedette sotto il suo peso, e lui cadde, scivolando lungo un dirupo per una ventina di metri. Si ruppe il femore e rimase bloccato, impossibilitato a muoversi, oltreché travolto da un fortissimo dolore. Tentò di usare il cellulare ma non ce la fece. Svenne prima.
A duemilacinquecento metri d'altezza, solo, lontano da tutti e da tutto. Da quasi tutti. Un'aquila, che lo osservava da lontano, si avvicinò. Era Kera, che riconobbe subito il vecchio. Si avvicinò lentamente, librandosi nell'aria come dominasse la gravità a suo piacimento. Toccò tuo nonno che non dava segni di vita. Con gli artigli afferrò il cellulare e si diresse verso valle. Quale grande sorpresa fu vedere questo grande uccello, fendere con la sua grande apertura alare, l'aria inquinata della nostra città. Nessuno, neppure io, aveva mai visto da vicino quello spettacolo.
Kera planò all'entrata dell'ambulatorio di Roberto, che attratto dalle grida della gente, si era affacciato alla porta. Riconobbe subito Kera e sorrise. Ma fu un sorriso di breve durata perché notò il cellulare col piccolo adesivo, il cellulare di tuo nonno. Roberto si scambiò uno sguardo con l'uccello e capì. Telefonò al soccorso alpino e poi con l'auto seguì Kera che si era alzata in volo. Fu facile trovare tuo nonno e salvarlo con grande gioia e sorpresa per tutti......."
Ti è piaciuto, il racconto, amore?… Dormi già? … Chissà da quanto tempo…Buonanotte. (Ricordati, se vuoi io sarò sempre la tua Kera.)