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![]() | Robin R. - Milano LA STORIA DI UN LEONE E DI UN BAMBINO |
![]() | Il leone era da molti anni rinchiuso nella gabbia. Una normalissima gabbia di un normalissimo zoo di una normalissima città. Non era pericoloso, non era cattivo. Non gli serviva più esserlo. Però era pur sempre il leone e nessuno lo avvicinava più del necessario. Un giorno un bambino si sedette vicino alla sua gabbia e cominciò a piangere. Il leone lo ignorò. Il bambino tornò lì il giorno dopo e ancora si mise a piangere. Il leone gli si avvicinò incuriosito e gli si accovacciò vicino, all'interno della sua gabbia. |
Il bambino cominciò a parlare, a parlare, a parlare. Naturalmente il leone non poteva capire cosa stesse dicendo, ma dal tono della sua voce capì il suo stato d'animo. Lo "ascoltò" leggendogli dentro grazie al solo istinto, grazie alla sola sensibilità dell'animale. Il bambino tornò ancora nei giorni successivi. Si sedeva vicino alla gabbia. Il leone gli si avvicinava e "parlavano". Il bimbo parlava e lui ascoltava. Se il bimbo era triste il leone, avvertendo dal tono il suo animo, gli leccava una mano, gli leccava il collo o il viso. Se invece il bimbo era allegro allora il leone giocava un poco con lui. Attraverso le sbarre della gabbia lo provocava con le sue zampone, lo spingeva o gli cingeva il busto, sempre attento a non fargli male. |
Il bambino cominciò a tornare tutti i giorni. Il leone imparò i suoi orari e, senza accorgersene, si mise ad aspettarlo. Quando si avvicinava l'ora del suo arrivo, si spostava verso il punto della gabbia dove avevano "appuntamento" e il bambino, puntuale, arrivava. Nel leone burbero che tutti evitavano, si accese una fiammella. Una fiammella di speranza per il nuovo contatto umano. Non sapeva dove lo avrebbe portato quella fiammella, ma lo faceva stare bene. Non sapeva cosa la speranza avrebbe potuto fargli sperare, ma attendeva con ansia il ritorno giornaliero del bimbo. I due "parlavano", "ridevano", "giocavano". Un giorno il bambino, con l'ingenuità e la semplicità tipica dei bambini, pensò che non ci fosse nulla di male se avesse liberato il leone. | ![]() |
Erano amici. Così aprì la gabbia e lo fece uscire. Il leone gli si avvicinò. Cominciarono a correre, a ridere, a saltare, a gridare. Il bambino gli stava a fianco e correvano assieme, appaiati. Ogni tanto gli si aggrappava al grosso collo e si faceva trascinare. Il leone correva e stava attento al bambino che, ad un certo punto, gli montò in groppa. Per il bambino era la cosa più naturale del mondo salire in groppa a quel leone tanto burbero e temuto da tutti. Al leone sembrò una cosa naturale e ovvia che il bambino gli salisse in groppa. Cominciò a correre più veloce sempre attento a non fare cadere il bimbo. I due amici non si accorsero nemmeno che tutti si stavano scostando terrorizzati al loro passaggio. Pensavano solo a divertirsi, a vivere quei momenti con naturalezza e come se il mondo si fosse fermato per loro, come se per loro fosse quella la realtà. A sera ritornarono alla gabbia. Il bimbo rinchiuse il leone, si salutarono e si diedero appuntamento per il giorno dopo. |
![]() | Nei giorni successivi non andarono più a correre nello zoo, ma stavano vicini a "chiacchierare". Il leone non ricordava più gli spazi aperti della savana, ma pensava tutti i giorni alla corsa folle attraverso lo zoo. Un giorno il bambino cominciò ad interessarsi a qualche altro animale, un po' per gioco. Il leone lo attendeva sempre. Un giorno il bambino si attardò di più con gli altri animali e il leone lo chiamò. Il bimbo venne da lui, ma il giorno dopo fu ancora attratto da qualche altro animale. Il leone capì che non doveva chiamarlo. Il leone sapeva che la sua compagnia era tale se era spontanea, sapeva che non aveva senso che il bimbo stesse lì solo perché il leone lo aveva chiamato. |
La cosa aveva valore se il bimbo voleva stare lì. Invece il bimbo si interessò sempre più agli altri animali. Il leone non poteva biasimarlo. Quella gabbia era sua, non del bimbo. Se lui non poteva uscire, non era giusto che anche il bimbo si sacrificasse. Smise di aspettarlo, ma non smise di sperare che venisse. Quando il bimbo tornava, il leone si gustava quel regalo. La fiammella però nel leone si spense. Quel fuocherello non aveva nulla da bruciare. La savana era troppo lontana nei ricordi, ma quel giorno col bimbo era il sogno al quale si aggrappò. Il bimbo andava sempre meno e quando andava il contenuto delle sue parole era diverso. Parlava meno di sé. Poi iniziò la scuola e le visite al leone si diradarono sempre più. Il leone tornò burbero come prima. Aveva assaporato la libertà, la gioia, ma sapeva che non erano cose per lui. Smise di vivere e cominciò a sopravvivere. Non aveva senso in lui quella fiammella. Ripensò a quelle corse col bimbo. Pensò al suo presente che era anche il suo futuro. Gli si formò un sorriso bagnato da una lacrima. Alla gabbia si avvicinarono un bambino col suo nonno. "Nonno guarda, il leone sta piangendo". "Ma cosa dici sciocchino, i leoni non possono piangere. E poi non vedi che sta sorridendo? Avrà difficoltà di digestione. Vieni, allontaniamoci, questo leone una volta era fuggito, è pericolosissimo". |
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